Da una società labor-centrista al Novacene: come l’IA può renderci più umani
Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e della robotica esigono che la nostra società evolva più velocemente di quanto abbia fatto finora.
Il mercato del lavoro, dal Covid-19 in poi, è mutato profondamente e necessita di nuove regolamentazioni, di nuovi strumenti, di nuovi paradigmi.
La società moderna ci ha abituati a pensare al lavoro come a “il senso della vita”, a “la realizzazione personale”. Il lavoro viene considerato “il nostro posto nel mondo“.
In quest’ottica tutto ciò che avviene al di fuori della sfera lavorativa è un puro “contorno”. Una sorta di “tutela sociale” per le due fasi più deboli dell’esistenza umana: la fase pre-lavorativa e la fase post-lavorativa. Cioè, l’età scolare e l’età pensionistica.
Pur riconoscendo a queste due fasi un valore “sentimentale” fatto di momenti memorabili ed esperienze uniche, continuiamo a focalizzare il nostro “senso della vita” nel mondo del lavoro.
La giornata di un comune essere umano occidentale è scandita intorno ai ritmi del lavoro. Almeno otto ore al giorno, infatti, sono dedicate al lavoro considerando la pausa pranzo ed il tempo impiegato nel trasporto. Tempo che, talvolta, aumenta nel caso in cui il luogo di lavoro sia molto distante da casa.
Otto ore su ventiquattro rappresentano il 33% del nostro tempo quotidiano. Aggiungiamo altre otto ore di sonno, come sarebbe consigliabile, ed abbiamo che i due terzi della nostra giornata è già occupata in partenza. Restano otto ore per tutto il resto, cioè, mangiare, lavarsi, dedicarsi alla propria famiglia, alla famiglia di origine, alle amicizie, all’attività fisica, alla spesa, alle pulizie domestiche e ad un hobby. Per non tediarvi non starò qui ad elencare gli eventi random che dobbiamo affrontare quali visite mediche, partecipazione ad eventi importanti famigliari, revisione auto, ecc.
Per molti anni ed anche oggi la battaglia per la parità di genere si gioca soprattutto in ambito lavorativo. Si susseguono statistiche nelle quali, al fine di vedere una parità di opportunità tra uomo e donna, si snocciolano le percentuali di occupati maschi e femmine. Di più, si pone l’accento sul fatto che le posizioni manageriali, quelle che di norma richiedono più tempo dedicato al lavoro, siano occupate in larga misura da uomini. E questo è visto come un fattore di discriminazione.
Riporto queste riflessioni al fine di avvalorare la tesi secondo la quale la nostra società è labor-centrista.
Noi siamo nati e cresciuti in questo tipo di società ed accettiamo i suoi postulati come un dogma. Basta, però, cambiare un attimo il punto di vista per riflettere su alcuni semplici regole.
Abbiamo bisogno di nutrirci, di un riparo e di vestirci. A queste tre necessità elementari se ne aggiungono altre quali, ad esempio, la necessità di istruirci, di muoverci, di divertirci e via dicendo. Per ottenere ciò abbiamo bisogno di soldi. I soldi si ottengono lavorando.
Tutto molto logico se non fosse che i soldi non sono un elemento “naturale” bensì uno strumento creato dall’essere umano. Sarebbe, idealmente, possibile offrire ad ogni persona la possibilità di avere un pezzo di terra per procurarsi da solo il cibo per nutrirsi ed un quantitativo base di moneta per assicurarsi un riparo e dei vestiti. Alcuni lo chiamano reddito universale, altri reddito di cittadinanza.
Una società regolata in tal modo correrebbe il rischio di vedere dimezzata la forza lavoro. Chi desidererebbe lavorare avendo un reddito di base a disposizione? Io. Perché lavoro con passione. Sono appassionato al mio lavoro che esce, in questo modo, dalla sfera della sopravvivenza ed entra in quella ricreativa che contribuisce al mio benessere psichico.
Alcuni si chiederanno chi, però, si appassionerebbe a svolgere i lavori più umili. Anche in questo caso confido che ci siano persone che svolgerebbero con “passione” tali lavori soprattutto se non dovrebbero svolgerli per sopravvivere, ma per passione.
Osservando le statistiche sull’andamento della popolazione mondiale ci accorgiamo che il numero di abitanti è aumentato all’aumentare della richiesta di forza lavoro che, a sua volta, ha visto un aumento del PIL dei principali paesi oggetto dei maggiori aumenti demografici.
Con buona ragione si potrebbe pensare che, cambiando il paradigma della società moderna, servirà minore forza lavoro data dal diminuire dei posti di lavoro. Ne gioverebbe l’intero pianeta che diventerebbe più salubre e più vivibile. Gaia potrebbe ritornare respirare.
Abbiamo iniziato l’articolo affermando che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e della robotica esigono che la nostra società evolva più velocemente di quanto abbia fatto finora. Ebbene, diminuendo la forza lavoro umana, possiamo lasciare all’intelligenza artificiale ed ai robot lo svolgimento dei lavori “meno passionali”. Quelli meno creativi, meno soddisfacenti, quelli più ripetitivi e faticosi.
Chi ha paura del tempo libero semplicemente non ne ha mai avuto. Il tempo libero è un’invenzione resasi necessaria per definire il tempo in cui non si lavora. Ora vi è più chiaro il come la società moderna è plasmata intorno al lavoro?
Ciò che esiste ed è reale è il tempo impiegato in attività piacevoli. Quello trascorso con il proprio partner, con i propri figli, con la propria famiglia di origine, con gli amici. Ma anche il tempo trascorso svolgendo un compito (lavoro?) che ci appassiona.
Non è difficile cambiare modello, basta definire una roadmap. Una mappa punteggiata di tappe che traghetteranno l’umanità in quella che James Lovelock ha definito “Novacene”: la nuova era.